archeologiche secondo cui il fuoco venne utilizzato per la prima volta

nell’Africa Orientale, il calore della materia ardente ha determinato la

nascita di una cultura materiale degli oggetti di uso comune, il primo

esempio di “design” indispensabile ai fini di una sopravvivenza così

antica. E ancora oggi nulla potrebbe essere costruito, abitato, se non

fosse possibile controllare l’energia delle trasformazioni dello stato

fisico della materia, che permette di utilizzare il calore per ottene-

re una migliore qualità della vita. Indipendentemente dalla complessità

della costruzione di una navicella spaziale, come potrebbero sopravvivere

gli astronauti se non fosse stato prima progettato il giusto equilibrio

tra l’altissima temperatura calore del propulsore e la quantità di ossi-

geno respirabile all’interno dell’astronave?

Tra due estremi così distanti - lo scintillare nel pensiero di una sco-

perta antichissima e la vita difficile in un presente ultratecnologico -

resta viva la funzionalità del calore: una performance dell’energia che

spinge a sempre nuovi progetti d’ambiente, fino a creare interni sempre

più raffinati, dove anche la necessità – apparentemente banale – di ca-

lore ricorda al sofisticato intellettuale la debolezza della sua natura

originale, la sua strettissima parentela con la tribù più arretrata dei

territori più remoti. La vera differenza tra i due è che il progresso

voluto dall’homo faber, con i suoi inconvenienti e le sue contraddizioni,

chiede ormai una spasmodica concentrazione a chi voglia costruire ogget-

of commonly-used objects, the first ancient example of indispensable

‘design’ for the aims of survival. Still today nothing could be built

or lived in if it weren’t possible to control the energy of the trans-

formation of a material’s physical state, which allows us to use heat

to obtain a better quality of life. Irrespective of the complexity of

a spaceship’s construction, how could astronauts survive if the correct

balance between the extremely high temperature of the propulsor and the

quantity of oxygen that can be breathed inside the spaceship were not

first planned?

Between these two very different extremes – the spark of an ancient dis-

covery in thought and the difficulties of life in an ultra-technological

present – the functionality of heat is still alive: a performance of

energy that continually inspires new projects for the environment, in

order to create increasingly refined interiors, where even the – appar-

ently banal – need for heat reminds even the sophisticated intellectual

of the weakness of his original nature and his close links to the most

backward tribe in the farthest away lands. The real difference between

the two is that the progress desired by homo faber, with its inconven-

iences and contradictions, requires the spasmodic concentration of those

who want to construct objects that bring heat to the widest range of

places: from the home to laboratories, where data accumulation technol-

ogy has reached levels of digital engineering that are unfathomable to

mere mortals. This digital civilisation and the thought and well-being

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